Cerca nel blog

Image and video hosting by TinyPic

giovedì 17 marzo 2011

Poteva mancare un post sull'unità d'Italia? Certo che no :D


Il 17 Marzo del 1861, la prima assemblea nazionale – eletta, secondo la legge elettorale vigente in Piemonte, su base rigorosamente censitaria – proclamava Vittorio Emanuele II re d’Italia “per grazia di Dio e per volontà della nazione”.

Questa è una prima positiva conclusione della seconda fase del processo italiano d’indipendenza dall’egemonia austriaca, iniziato con Giuseppe Mazzini durante i moti del 1830-’31.

Andiamo per ordine:)

1830-1831 ----> Mazzini era dell’idea che la redenzione dell’Italia doveva trarre origine da un vasto moto di rinnovamento morale e spirituale, fondato innanzitutto sulla certezza religiosa che ogni nazione ha da compiere una missione stabilita da Dio che nel popolo rivelava se stesso. Per attuare questa missione era però essenziale che il popolo fosse pienamente padrone di se, nella libertà di una Repubblica indipendente e unitaria. La Roma imperiale e papale doveva essere sostituita da una Roma del popolo e, dietro il suo esempio, tutti i popoli defraudati e divisi dalla diplomazia e dai principi avrebbero realizzato l’unione di libere e solidali società nazionali. Mosso da tali idee, Mazzini, fondò nel 1831, a Marsiglia, la Giovine Italia per realizzare, come disse, la Repubblica italiana “una, libera, forte , indipendente da ogni supremazia straniera e morale e degna della propria missione”. L’adesione degli spiriti di ideali romantici fu subito vasta e intensa, ma il disinteresse delle masse contadine privò il movimento della base popolare postulata dal programma. Una fitta rete di cospiratori si distese, in poco tempo, soprattutto negli stati dell’Italia settentrionale e quando si era pronti per una prima insurrezione, la polizia riuscì a sventare il moto (nel1833) compiendo numerosi arresti.

Il fallimento delle iniziative mazziniane diede forza sia alle voci di coloro che auspicavano la soluzione della questione nazionale con metodi differenti da quelli insurrezionali e sia alla formazione di nuove correnti politiche che volevano organizzare i moti.
Scartabellando un po’ gli appunti di storia del liceo, giusto per essere sicura di non scrivere immani castronerie XD…ho trovato una specie di schema (prof.ssa Spedicato santa subito :D) che adesso vi riporto per inquadrare bene le nuove correnti in Italia presenti specialmente a partire dal 1840:
Neoguelfi : federalisti tra i quali spicca il nome di Gioberti. Essi individuavano nel papato il simbolo dell’unificazione spirituale di tutta l’Italia. Volevano la trasformazione dell’Italia in una confederazione di stati presieduta dal Papa.
• I liberal-moderati, tra i quali Balbo che voleva una confederazione di stati guidati dalla monarchia sabauda; il dominio dell’Austria sul Lombardo-Veneto, secondo lui, doveva essere eliminato attraverso una politica diplomatica. Durando, proponeva una divisione a tre del territorio italiano: il Nord, con la sovranità dei Savoia; il Centro, presieduta dai Lorena; il Sud, con a capo i Borbone. Al Papa lasciava la dominazione su Roma e sulla Sardegna. D'Azeglio, giudicava dannosa la strategia insurrezionale, proponendo misure graduali.
• Federalisti democratici: Cattaneo auspicava la trasformazione dell’Italia in una Repubblica Federalista, come quella statunitense, che garantisse a ciascun stato un’ampia autonomia. Ferrari, riteneva che la soluzione di una Italia unita, doveva essere raggiunta grazie ad una riforma sociale su scala internazionale.
• E i Repubblicani con Mazzini che voleva una Italia, come già detto, unita, indipendente e repubblicana.


Tralasciando mooooooooolte cose…dico che:
Vennero i famosi moti del 1848!
Il 1848, fu l’anno in cui l’intera Europa (centrale e occidentale) venne scossa da varie rivoluzioni. Alla base di questa sfascio generale, c’era la crisi economica: tra il 1846 e il 1847, l’economia europea attraversò una fase di profonda depressione, che portò all’aumento dei prezzi per i beni alimentari ecc ecc Si abbatté anche un periodo di carestia che spinse milioni di persone a lasciare la campagna con un conseguente crollo del settore agricolo, che si rinviò a quello industriale.
Le insurrezioni del ’48 scoppiarono a Palermo, a Parigi, a Vienna, a Berlino e in Polonia. Scoppiarono tutte, quasi contemporaneamente. In Francia dominò la questione sociale, con grandi manifestazioni e scioperi da parte delle masse popolari. In Prussia il ’48 si collegò ad una possibilità di espansione territoriale. In Germania e in Italia prevalse la volontà di raggiungere l’unità nazionale.
Il 1848, insomma, venne considerato “Primavera dei popoli”, perché portò cambiamenti tali da determinare in molti paesi la fine dell’assolutismo avutosi con il Congresso di Vienna del 1814-’15 (periodo della cosiddetta Restaurazione XD)
Prima città italiana ad insorgere fu Palermo, il 12 gennaio 1848. L’insurrezione costrinse Ferdinando II di Borbone a concedere una costituzione; seguirono l’esempio di Ferdinando, Carlo Alberto, Leopoldo II di Toscana e Pio IX.


Lo scoppio della rivoluzione anche nella vicina Francia (22 febbraio) diede una nuova spinta all’iniziativa dei democratici italiani e riportò in primo piano la questione nazionale. A Venezia si proclamò la repubblica veneta; a Milano dopo "cinque giornate" fu costituito un governo provvisorio. Il 23 marzo, all’indomani della cacciata degli austriaci da Venezia e Milano, il Piemonte di Carlo Alberto, dichiarò guerra all’Austria. C. Alberto venne appoggiato dal re delle due Sicilie, dal granduca di Toscana e dal papa, appoggio che però venne ritirato di lì a poco. Vedendo la scarsa risolutezza di C. Alberto nel condurre le operazioni militari perché più preoccupato all’annessione del Lombardo-Veneto al Piemonte, i democratici si irritarono, e i vari sovrani cominciarono a vedere con diffidenza la guerra contro l’Austria. A combattere contro gli austriaci, rimasero, disobbedendo agli ordini dei rispettivi sovrani, molti fra i componenti dei corpi di spedizione regolari. Accorse dal Sud America Giuseppe Garibaldi che si mise a disposizione del governo provvisorio lombardo. Ma il contributo dei volontari fu poco e male utilizzato da Carlo Alberto, deciso a combattere la “sua” guerra e a non lasciare spazio all’azione dei democratici. Guerra che vide, però, gli austriaci vittoriosi. Il 23-25 luglio ’48, nella prima grande battaglia campale combattuta a Custoza, presso Verona, le truppe piemontesi furono sconfitte e costrette alla ritirata. Il 9 agosto fu firmato un armistizio con gli austriaci.
A combattere contro l’Impero asburgico restavano i democratici. In Sicilia resistevano i separatisti, a Venezia venne proclamata di nuovo la repubblica, in Toscana si formò un triumvirato democratico, a Roma, dopo la fuga del papa nel novembre ’48, si proclamò la repubblica. Lunga e gloriosa fu la resistenza della Repubblica Romana, centro principale della rivoluzione democratica e luogo di incontro di esuli e cospiratori di tutta Italia: da Mazzini a Garibaldi, al romagnolo Aurelio Saffi, al genovese Mameli, al napoletano Pisacane, ai milanesi Cernuschi e Manara (eroi delle “cinque giornate” di Milano). Contro questa repubblica Pio IX, si rivolse alle potenze cattoliche affinché lo aiutassero a ristabilirsi nei proprio territori. All’appello del papa risposero l’Austria, la Spagna, il Regno di Napoli e anche la Repubblica francese, ormai dominata dalle forze clerico-conservatrici. Il presidente Bonaparte ebbe il ruolo principale nella restaurazione pontificia, inviando nel Lazio un corpo di 35.000 uomini, costringendo la Repubblica Romana alla resa.
Nel marzo 1849 il Piemonte riprese la guerra contro l’Austria, subendo, però, subito una sconfitta a Novara. Conseguenza di ciò, fu l’abdicazione di Carlo Alberto in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
A mano a mano tutti i governi rivoluzionari d’Italia vennero sconfitti.
La causa fondamentale del generale fallimento delle rivoluzioni del ’48 va individuata nelle fratture all’interno delle forze che di quelle rivoluzioni erano state protagoniste: nei contrasti, cioè, fra correnti democratico-radicali e gruppi liberal-moderati. Pesò inoltre, nel determinare la sconfitta delle esperienze rivoluzionarie italiane, l’estraneità delle masse contadine, che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione.

Ci avviciniamo a questo punto della storia, superato il biennio 1848-1849, all’unità nazionale della nostra amata ItaliaXD..
Sui vari stati italiani, nel decennio 1850-1860, si abbatté un’ondata repressiva che vide l’Austria riaffermare la propria egemonia con contingenti di truppe stanziati nello Stato pontificio e nel Granducato di Toscana.
- Il Regno delle due sicilie conservò il primato di arretratezza economica, politica e culturale.
- A Roma, il ritorno di Pio IX coincise con il ripristino di un regime teocratico e autoritario.
- In Toscana, la tradizionale politica di tolleranza di Leopoldo II, subì un’involuzione.
- I Ducati di Modena e Parma, persero la loro relativa autonomia, fino a diventare un prolungamento del Lombardo-Veneto.
- Nel Lombardo-Veneto, le autorità austriache imposero un regime di occupazione militare, sotto il controllo del maresciallo Radetzky; venne inasprita la pressione fiscale a danno dei consumi e degli investimenti privati.
- Il Piemonte, nonostante le numerose sconfitte, ottenne con il Trattato di Milano, firmato con l’Austria nel 1849, delle condizioni di pace favorevoli; si impegnò a pagare una indennità di guerra, ma senza subire amputazioni territoriali. Questo accordo per, incontrò l’ostilità della maggioranza dei democratici alla Camera, i quali si opposero alla firma. Il nuovo re, Vittorio Emanuele II, sciolse la Camera e indusse nuove consultazioni conclusesi con la vittoria dei Moderati. Alle nuove elezioni, con il "proclama di Moncalieri" si invitarono gli elettori ad essere più responsabili nella scelta dei rappresentanti che dovevano andare a rettificare la firma del tratta di Milano.
In tutto il Regno di Sardegna, iniziò un importante periodo di riforme, con l’approvazione nel 1950 delle Leggi Siccardi. Con esse si eliminarono i privilegi della Chiesa (diritto d’asilo; diritto della Manomorta) e stabilirono che tutta la popolazione doveva pagare le tasse.
Governato sulla base di una costituzione liberale e divenuto meta degli esuli sfuggiti alle repressioni, il Piemonte, venne considerato dai moderati italiani, come l’unica forza politica in grado di risolvere la questione nazionale dell’unità.

Ed ecco che adesso entra in gioco Cavour XD
Camillo Benso conte di Cavour era un esponente dell’aristocrazia piemontese più illuminata, aperta al dialogo con la classe borghese e pronta ad assorbire uno spirito di intraprendenza. Covour entrò a far parte del governo perché nominato, dal presidente del consiglio Massimo D’Azeglio, Ministro dell’agricoltura. Cavour diede subito prova della sua strategia politica promuovendo un accordo con Urbano Rattazzi,Urbano Rattazzi che unisse cioè l’ala progressista della maggioranza moderata capeggiata da Cavour e i democratici moderati, riuniti attorno alla figura, di Rattazzi. Il connubio Cavour-Rattazzi, costituì la formula vincente per relegare a ruoli politici marginali, sia la corrente clericale-conservatrice, sia gli estremisti democratici, fornendo all’esecutivo una solida maggioranza parlamentare su cui fare affidamento. Gli elementi moderati di destra e quelli di sinistra, quindi, si unificarono sotto un comune programma: bisognava dare forza al Parlamento; bisognava impegnarsi per la libertà civile; bisognava impegnarsi per un maggiore sviluppo economico.
Massimo D’Azeglio firmò le sue dimissioni e Vittorio Emanuele II, invitò Cavour a ricoprire la carica di presidente del consiglio. Cavour accettò e salito alla guida del governo nel 1852, si impegnò da subito in una vasta opera di riforme, finalizzate a consolidare le istituzioni liberali e rilanciare l’economia del regno. Egli inoltre tentò di compiere la laicizzazione dello stato e per questo, nel 1855, decise di far chiudere tutti gli ordini contemplativi religiosi. L’ideologia che si voleva seguire era: libera Chiesa in libero Stato! Cavour non era ateo, credeva fortemente nel compito morale che spettava alla Chiesa, solo che non ammetteva l’ingerenza della Chiesa negli affari di Stato, e perciò anche lo Stato non doveva entrare in merito agli affari interni della Chiesa.

Proseguiva instancabile, dopo le sconfitte del ’48-’49, l’attività di Mazzini, volta al raggiungimento dell’indipendenza e dell’unità per via insurrezionale. I tragici insuccessi contro cui la sua strategia si scontrò fecero crescere i dissensi entro il movimento democratico. Si affacciò, soprattutto con Pisacane, un’ipotesi “socialista” di liberazione nazionale, che cioè facesse leva sulle masse diseredate del Mezzogiorno. Il disastroso esito della spedizione di Sapri (1857) – dovuto soprattutto alle ostilità delle popolazioni locali – sollecitò l’iniziativa di quegli esponenti democratici che vedevano nell’alleanza con la monarchia sabauda l’unica possibilità di successo.
Dopo aver ottenuto un successo diplomatico dalla partecipazione piemontese alla guerra di Crimea e alla conferenza di Parigi (1855-56), Cavour si convinse che era indispensabile l’appoggio di Napoleone III per scacciare gli austriaci dalla penisola. Favorito dagli effetti dell’attentato di Orsini a danno dell’imperatore (Orsini prima di salire sul patibolo, si dichiarò pentito per le conseguenze del suo gesto e scrisse due lettere all’imperatore francese per scongiurarlo di far propria la causa del movimento nazionale italiano), strinse con questi un’alleanza militare a Plombières (1858), in vista della guerra contro l’Austria, che scoppiò nell’aprile dell’anno successivo. Le sorti del conflitto volsero subito a favore dei franco-piemontesi, ma l’armistizio di Villafranca – improvvisamente stipulato da Napoleone III – assegnava allo Stato sabaudo la sola Lombardia. Alle insurrezioni scoppiate nell’Italia settentrionale si dové l’annessione dell’Emilia, della Romagna e della Toscana al Piemonte.
Rimanevano scontenti i democratici, che cominciarono a pensare a una prosecuzione della lotta attraverso una spedizione nel Mezzogiorno.
Nell’aprile del 1860 il Parlamento piemontese era costituito da sei regioni: Sardegna, Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana ed Emilia.
In quel periodo iniziò una fase, gestita dai garibaldini e dai democratici mazziniani; una fase volta alla strategia insurrezionale. I piani per una spedizione al Sud, si ebbero nell’aprile del 1860, in seguito allo scoppio di una rivolta popolare a Palermo, dove governava il re Francesco II di Borbone. La direzione del moto insurrezionale venne assunta da Rosolino Pilo, mentre Francesco Crispi, leader degli esuli siciliani a Genova, cercava aiuto a Garibaldi, per formare una spedizione contro i Borbone. Nacque così la spedizione dei mille: 1000 volontari (Garibaldi non ne volle di più, perché confidava in un corposo aiuto da parte della popolazione siciliana), tra operai, artigiani, borghesi della Lombardia, del Veneto, del Piemonte e della Liguria, si unirono a Quarto (in Liguria), rubarono due navi e nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, salparono.
Fecero un primo scalo a Talomone, dove, per non attirare troppa attenzione Garibaldi fece scendere alcuni volontari. L’11 maggio giunsero a Marsala (e qui Garibaldi assunse poteri si può dire dittatoriali). Seppur male equipaggiati i garibaldini riuscirono a respingere le truppe borboniche a Calatafimi, il 15 maggio. La spedizione si mosse alla volta di Palermo, nella città Garibaldi venne accolto trionfalmente e dopo vari giorni di combattimento riuscì a liberare la città dal potere borbonico, verso la fine di maggio. Garibaldi continuando nella sua impresa, sconfisse le truppe borboniche anche a Milazzo il 20 luglio.
Tutta la spedizione venne effettuata con il tacito assenso del re Vittorio Emanuele, ma con l’ostilità di Cavour. Egli temeva che Garibaldi, dopo aver liberato la Sicilia e Napoli, si sarebbe diretto a Roma e scontrato con le truppe francesi che proteggevano lo Stato del papa.
Per questo motivo, Cavour ordinò all'ammiraglio Persano,Persano di bloccare le navi rubate da Garibaldi. Ordine che non fu portato a termine in maniera “positiva”.
Successivamente lo stesso Cavour cambiò il suo atteggiamento: pensò di attendere gli eventi e vedere come si sarebbe evoluta la situazione; se Garibaldi avesse fallito, il governo piemontese avrebbe dichiarato di non esserne responsabile, se, invece, Garibaldi fosse riuscito a cacciare via i Borbone, Cavour sarebbe intervenuto cercando di prendere le redini della spedizione e fermare i garibaldini.
Il 20 agosto 1860, Garibaldi, superato lo stretto di Messina, sbarcò in Calabria che venne anch’essa liberata. Il 7 settembre Garibaldi giunse a Napoli. Anche qui, come a Palermo, venne acclamato dalla popolazione in modo trionfale, tanto che il re Francesco II fu costretto a rifugiarsi a Gaeta.
A quel punto, Cavour decise di intervenire per consegnare l’iniziativa nelle mani dei moderati. Ottenuto l’assenso francese, in cambio dell’impegno a non occupare il Lazio, il governo di Torino, decise di inviare l’esercito regio nelle regioni meridionali, contando sull’appoggio dell’Inghilterra, per la quale, la posizione di un’Italia unita e libera, era positiva, perché rappresentava un elemento di equilibrio nel Mediterraneo da contrapporre alla Francia.
L’11 settembre 1860, le forze piemontesi entrarono in Umbria e nelle Marche, sconfitto l’esercito pontificio presso Castelfidardo, continuarono a marciare verso Sud. Garibaldi inflisse alle superstiti truppe borboniche una netta sconfitta nella battaglia del Volturno (29 settembre – 1 ottobre). Cavour appresa questa notizia, attraverso la forma plebiscitaria, fece votare l’annessione incondizionata del Regno delle due Sicilie al Piemonte; non si poteva perdere tempo, Garibaldi non doveva giungere a Roma e ne Mazzini doveva richiedere di votare una soluzione diversa da quella di Cavour.
Alla fine del mese di ottobre e a conclusione di vari plebisciti venne sancita la netta vittoria del SI, per l’annessione al Piemonte del regno delle due sicilie.
E Garibaldi, nello storico incontro avvenuto a Teano (presso Caserta) il 26 ottobre, con il sovrano sabaudo, consegnò il potere sulle regioni liberate al re.
Il 17 Marzo 1861 si proclamò Vittorio Emanuele II re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della nazione”…
E siamo così tornati all’inizio di questo post :D

Ma la questione dell’unità non si può ritenere conclusa, quando Vittorio Emanuele venne proclamato re d’Italia, mancavano ancora all’appello il Veneto e il Trentino, regioni nella quali vi era ancora la presenza degli austriaci, e poi Roma con Pio IX che intransigente era contrario a qualsiasi forma di dialogo con il neonato Regno d’Italia.
Il Veneto e il Trentino furono annessi all’Italia, grazie al conflitto franco-prussiano contro l'Austria e la sua pace di Praga del 1866.
Mentre per Roma, la situazione fu un tantino più complicataXD
Garibaldi e i democratici rilanciarono un programma insurrezionale. Sbarcarono, sempre con un corpo di volontari sulle coste della Calabria con l’intenzione di raggiungere Roma. Ma la strada verso la città venne loro sbarrata dall’esercito regio su decisione del presidente del consiglio Rattazzi. Lo scontro tra le neo truppe garibaldine e l’esercito regio ebbe luogo il 29 agosto 1862, sull’Aspromonte. Garibaldi, ferito ad una gamba (da qui la canzoncina…Garibaldi, fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda il battaglion!
lalalalaXD..ne esistono diverse versioni però), venne arrestato e rinchiuso per qualche settimana nella fortezza di Varignano.
Il governo italiano, presieduto dopo le dimissioni di Rattazi, da Marco Minghetti, firmò il 15 settembre 1864, con Napoleone III (che difese Roma e il papa), la convenzione di settembre, con la quale venne garantita l’integrità territoriale dello stato della chiesa, in cambio del ritiro delle truppe francesi dalla penisola nell’arco di due anni.
Quasi a simboleggiare la definitiva rinuncia a Roma, il regno d’Italia trasferì la capitale da Torino a Firenze.
All’interno del movimento democratico, la delusione per l’esito del conflitto, rafforzò la corrente mazziniana che criticava i governi italiani, l’istituzione monarchica e l’incapacità dei comandanti militari.
In questo clima, ricevette nuovo impulso l’idea di un’azione di forza contro lo stato pontificio per portare a termine l’unificazione del paese.
I piani prevedevano un’insurrezione popolare a Roma, che avrebbe dovuto fornire il pretesto per un intervento di volontari guidati sempre da Garibaldi.
Garibaldi varcò i confini dello stato della chiesa con un corpo di spedizione, ma la prevista insurrezione popolare non si verificò e un gruppo di garibaldini fu decimato dall’esercito pontificio in uno scontro a Villa Glori alle porte di Roma. Garibaldi, però, non desistette e continuò a marciare per Roma. Napoleone III, denunciando la violazione della convenzione di settembre, inviò un contingente che sbarcato a Civitavecchia, affrontò vittoriosamente i garibaldini a Mentana (3 novembre 1867).
Solo dopo il crollo dell’Impero francese del 1870, i patrioti italiani poterono avere finalmente via libera. Questa volta a sferrare l’attacco su Roma, furono le forze regie che, invaso lo stato della chiesa e spezzata la resistenza delle truppe pontificie, entrarono a Roma il 20 settembre 1870 (breccia di Porta Pia).
L’atteggiamento di Pio IX, come in precedenza, si dimostrò di estrema chiusura. Scrisse un’enciclica Quanta Cura Quanta Cura, per riaffermare il ruolo della chiesa, nella società. Nell’enciclica Pio IX espresse tutto il suo disprezzo per le dottrine liberali e per l’atteggiamento del governo. Governo che reagì duramente contro il papa promulgando una legge con la quale si sciolsero tutte le confraternite e gli ordini religiosi. Tutti gli edifici ecclesiastici vennero utilizzati come scuole, biblioteche e asili, assunsero cioè una funzione civile. Il patrimonio della Chiesa, tutto, venne messo l’asta.
Nel 1871, Roma divenne capitale d’Italia; in base alla legge delle Guarentigie, (che sancì la fine del potere temporale dei papi) al pontefice venne riconosciuta, oltre alla libertà di esercitare il proprio potere spirituale, l’extraterritorialità dei palazzi del Vaticano, del Laterano di Castel Gandolfo. Pio IX non si piegò alla legge e invitò i cattolici italiani a non partecipare alla vita pubblica del paese. Fu questo il contenuto espresso nella formula del non expedit, (non conviene) che si rivelò assai dannosa per la maturazione politica del nuovo regno.
I contrasti tra la Chiesa e lo Stato si risolsero solo nel 1929, con i patti lateranensi tra la Santa Sede e Mussolini, durante il periodo fascista.
Vogliamo vedere come si risolsero nel dettaglio?
Dio, no….non sono così cattiva ahahahahah…già vi ho annoiato abbastanzaXD Tranquilli

Perdonate qualche svista, o qualche piccola inesattezza di date ecc…
Ci sarebbe tanto altro da dire in proposito che mi ci vorrebbe un mesetto per scrivere il tutto per bene e siccome non ho molto tempo a mia disposizione, accontentatevi di questo "piccolo" post :D…Gli spunti per effettuare delle ricerche personali ci sono, se ne volete sapere di più datevi da fare no?...Prendete dei libri di storia e leggete..che come dico sempre male non fa ehehehehe
Per scrivere sta roba ci ho messo tre ore, giusto il tempo di bruciare un dolce nel forno ahahahahhaa….scappo a vedere quanto si è carbonizzatoXD…
Baci e abbracci a tutti

ps. Dimenticavo....
VIVA L’ITALIAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
:-)

Nessun commento:

Posta un commento

Questo sito non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n°62 del 7.03.2011.