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domenica 12 febbraio 2012

Ciò che è stato ignorato per molto tempo!

Ripassare un po' di storia non fa mai male, quindi mettetevi comodi e leggete.

Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 sono stati gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani.
La prima ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicarono contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturarono, massacrarono e poi gettarono nelle foibe circa un migliaio di persone. Li consideravano “nemici del popolo”. Ma la violenza aumentò nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupò Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenarono contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci furono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini.
La persecuzione proseguì fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, venne fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia.
L' Italia, dopo negoziazioni con gli alleati portate avanti per più di un anno, firmò il tratto di pace a Parigi nel febbraio del 1947. (Il 10 febbraio del '47 l'Italia cedette buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia e Tenda e Briga alla Francia)
Considerata a tutti gli effetti come una nazione sconfitta, l'Italia, doveva impegnarsi a pagare riparazioni agli Stati che aveva attaccato: Russia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Etiopia; e a ridurre la consistenza delle sue forze armate.
L'opinione pubblica seguì con notevole partecipazione le vicende relative ai nuovi confini nazionali: a ovest non subì mutilazioni di rilievo, a nord poté avvantaggiarsi della posizione di inferiorità dell'Austria per mantenere l'Alto Adige. I problemi più delicati si presentarono sul confine orientale, dove gli jugoslavi avevano occupato nel '45 buona parte della Venezia Giulia e rivendicando Trieste.
Questi problemi rappresentarono nel primo decennio postbellico la ferita più dolorosa fra quelle lasciate aperte dalla guerra.
Il contrasto tra italiani e slavi riesplose alla fine della guerra, nelle zone occupate dagli jugoslavi, con una serie di sanguinose vendette contro gli italiani, culminate nell'esecuzione di alcune di migliaia di persone, gettate nelle foibe (profonde fosse naturali del Carso). Un gran numero di giuliani e dalmati (fra i due e i trecentomila) furono costretti a riparare in Italia. Questi scapparono dal terrore, non avevano nulla, erano bocche da sfamare che non trovarono in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignorò: non suscitava solidarietà chi stava fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS, in cui si era realizzato il sogno del socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito era, del resto, la ragione per cui il PCI non affrontò il dramma, appena concluso, degli infoibati. Ma non fu solo il PCI a lasciar cadere l’argomento nel disinteresse. Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci (autore, assieme a Vidotto del libro "Il mondo contemporaneo". Libro del mio esame di storia contemporanea), la stessa classe dirigente democristiana considerò i profughi dalmati “cittadini di serie B”, e non approfondì la tragedia delle foibe. I neofascisti, d’altra parte, non si mostrarono particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre erano state sotto l’occupazione nazista, in pratica erano state annesse al Reich tedesco.
Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica avvolse la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane. È una ferita ancora aperta perché, ricorda ancora Sabbatucci, "è stata ignorata per molto tempo”.
Da soli sette anni, il Parlamento italiano, dedica una giornata del ricordo ai morti nelle foibe: appunto il 10 febbraio.
« La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata [...] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero. »
(legge 30 marzo 2004 n. 92)

Anche se sono passati due giorni dal 10 febbraio, mi sono sentita in dovere di parlarvi anche di questa "giornata della memoria".

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